In occasione dell’Aperiform del 22 marzo 2017, Info Easy ha intervistato il Prof. Gilberto Antonelli, professore di Economia del Lavoro presso l’Università di Bologna e il Dott. Vanes Casalini, Chief Business Support Officer del Gruppo Montenegro – Bonomelli, sul tema dello Smart Working.
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Estratto dell’intervista
Apre l’incontro Alessio Bertuzzi, responsabile delle Risorse Umane di Info Easy presentando i settori di investimento dell’Azienda Info Easy focalizzandosi sul Codice Etico che dal 2014 l’azienda propone internamente nel rispetto dei propri collaboratori. In questo vademecum dei valori e dei codici comportamentali emerge subito il concetto di Qualità della Vita, intesa come l’equilibrio da raggiungere tra lavoro e vita personale. Tale concetto definito Smart Working è il tema del dibattito e si inserisce nel filone dei valori portanti per l’azienda.
Vengono subito presentati gli Ospiti che prenderanno parte del dibattito: il Prof. Gilberto Antonelli, professore di Economia del Lavoro presso l’Università di Bologna e il Dott. Vanes Casalini, Chief Business Support Officer del gruppo Montenegro – Bonomelli.
Si entra subito nel vivo dell’Aperiform e viene condivisa un’infografica che riporta i dati studiati dal Politecnico Di Milano sul tema: Smart Working e Grandi Imprese.
Ne emerge che al momento sembra che la diffusione di tale processo dal 2015, sia aumentato unicamente nelle grandi imprese che vedono infatti un incremento del 30%, mentre nelle PMI, solo il 5% ha strutturato il modello di Smart Working in azienda dal 2015 al 2016.
Viene così introdotto il caso di studio dell’Azienda Montenegro – Bonomelli con la sua storia iniziata 30 anni fa in quel di Bologna. Hanno portato avanti questo nuovo progetto di Smart Working per rinnovare la propria cultura aziendale e per favorire un equilibrio tra la vita lavorativa e quella personale dei loro dipendenti.
Per iniziare – racconta il Dott. Casalini – si sono confrontati con aziende multinazionali che già lo facevano da tempo come per esempio L’Oréal.
Loro seguendo l’impronta di quest’ultima hanno optato per un accordo individuale e non sindacale. Hanno optato quindi per una gestione diretta, emanando un regolamento con le linee base da seguire e ne hanno definito chi può e chi non può aderire in base alla funzione aziendale ricoperta. Chi può aderire, si impegna a rispettare le regole definite dall’azienda, firma questo accordo e conseguentemente deve superare un test sulla sicurezza apposito. Una volta superato il test, si può cominciare con lo Smart Working. L’azienda Montenegro – Bonomelli ha dato possibilità di Smart Working per due giorni al mese, spostabili anche da un mese all’altro. In alcuni casi particolari (pendolarismo importante/gravi situazioni familiari), consentono anche quattro giorni al mese.
Il primo anno sperimentale è stato positivo, perciò hanno continuato.
Viene data la parola al Prof. Antonelli che riprende i dati iniziali del Politecnico di Milano e va nel dettaglio. Tra le Grandi Imprese impegnate in progetti di Smart Working vediamo Barilla, Eni, Unicredit, L’Oréal, Vodafone e molte altre. Ma pone l’attenzione anche su un altro punto di vista importante, cioè chi usa di più questa tipologia di lavoro. L’identikit del lavoratore “smart” tipo è uomo (nel 69% dei casi), ha un’età media di 41 anni, e risiede al Nord (52% del campione – 38% Centro, 10% Sud). Questi dati sono importanti perché definiscono differenze marcate di genere e di territorio.
Il Prof. Antonelli introduce poi anche l’aspetto internazionale. Mettendo a confronto i Paesi dell’UE con altri paesi dove lo Smart Working è già molto diffuso, si vede che la media UE è circa del 17%, ma non è esaltante paragonato al sistema globale. Messa a confronto per esempio col Giappone dove il lavoro agile è molto incoraggiato forse anche per questioni logistiche, con gli Stati Uniti dove i partecipanti allo Smart Working sono il 37%, ma anche col Brasile dove è molto diffuso per evitare il grave problema di traffico.
Il concetto che il Prof. Antonelli avanza è il fatto che bisogna cercare di capire quanta parte di questa “ecologia” porta verso una maggiore produttività del lavoro nelle aziende oppure quanta parte porta verso una attenuazione del rapporto con le imprese.
Viene ridata la parola al Dott. Casalini, il quale racconta che i dati che hanno raccolto dalle esperienze delle Grandi Aziende, dicono che mediamente la produttività dei dipendenti aumenta, con una comprovata riduzione dei costi di gestione dello spazio fisico, con riduzione del tasso di assenteismo e meno spreco di energia. Ma la motivazioni sottostante per cui il suo Gruppo ha deciso di aderire allo Smart Working è stato il fatto che hanno molti dipendenti con un tempo significativo di viaggio per arrivare in azienda. Questi avrebbero effettivamente potuto organizzare diversamente il loro lavoro, risparmiando il tempo impiegato per muoversi.
Torna a parlare il Prof. Antonelli al quale viene chiesto se lo Smart Working possa rappresentare una perdita del perimetro aziendale. Il Prof. Antontelli dice che questa nuova tipologia di lavoro declina uno scenario molto diverso, più flessibile e dilatato. Il perimetro aziendale evolve e cambia insieme ad esso perché insegue il mercato. Da un lato c’è un’idea di perimetro rigido, che genera una sorta di rottura. Dall’altro ce ne sono di flessibili che agevolano maggiore produttività con spazi aperti. Il Prof. Antonelli parla poi del concetto di Welfare Aziendale: nella dimensione in cui si cerca un allocazione del tempo più equilibrata, lo Smart Working consente di assistere la famiglia. Quindi è effettivamente comprovato il fatto che questa tipologia di lavoro generi indubbi effetti positivi sull’attaccamento del lavoratore all’impresa, perché quest’ultimo riesce a trovare il giusto equilibrio tra famiglia e lavoro. Bisogna però parlare anche dei punti critici che si incontrano con questa nuova pratica lavorativa: lo stress dovuto all’orario di lavoro prolungato. Non essendoci più orari fissi si rischia di andare oltre i soliti orari lavorativi e ne consegue il concetto di straordinario, che non esiste più.
Leggi anche il nostro articolo sullo Smart Working: 5 consigli per farlo bene
Ma ci sono anche punti critici nel campo della sicurezza sul lavoro: dalle attività che l’individuo svolge a distanza (obbligo di avere programmi che ne garantiscano maggiore sicurezza – cloud), al lavoratore che si infortuna facendo attività a distanza. Non è ancora stato regolamentato il problema dell’infortunio.
Esistono quindi ombre e luci che segnalano che il perimetro dell’azienda va ripensato tenendo conto delle nuove caratteristiche del mercato, delle attività di servizio e di tipo produttivo.
Viene poi chiesto a Vanes Casalini se a distanza di due anni dalla messa in pratica di lavoro agile nella propria azienda, la valutazione sia positiva o meno. Le interviste che hanno fatto a un campione rappresentativo di dipendenti (di tutte le tipologie di lavoro che stanno partecipando), non hanno segnalato né anomalie né malfunzionamenti tecnologici per esempio da collegamenti da casa o ritardi di consegne. Anzi i risultati riportano solo casi di dipendenti soddisfatti. La valutazione nel complesso è quindi risultata positiva.
I dipendenti che hanno aderito tra quelli che avevano il permesso (circa 150 su 350) sono stati il 100%, ma solo l’85% ha poi usufruito del servizio il primo anno. Inoltre riporta che nella sua azienda, a contrario dei dati di cui si parlava precedentemente, si vedono aderire un maggior numero di donne. Agli occhi dell’azienda la sintesi è che tale operazione è qualcosa che ha dato un concreto vantaggio ai dipendenti, senza avere provocato danni all’azienda. Al massimo per l’azienda è stato – almeno fino ad ora – un pareggio, c’è da dire però che sono già abbastanza flessibili e strutturati da tempo. Quindi il suggerimento del Dott. Casalini è che se a costo zero si può dare un vantaggio a un proprio collaboratore, e questo lo ripagherà con una produttività maggiore, questo progetto deve essere attuato. È importante e giusto. Tutto comunque si basa sul rapporto di fiducia tra i membri e non deve mai mancare il dialogo col proprio team.
“Se avessi davanti un imprenditore di una PMI gli direi che non è una cosa troppo complessa, di provare a partire da un regolamento e da una strumentazione adeguata, e poi di provarci”.